Se quella di Marinella nacque da una storia vera, quella di Storia un impiegato non fu da meno. Del resto, erano vere anche quella di Piero (ispiratagli dai racconti dello zio materno che si era succhiato la guerra di Albania), quella di Via del campo, quella di Michè (ossia, di un tale Michele Aiello, emigrato dal Sud a Genova) e via dicendo.
Storia di un impiegato, di Fabrizio De André, Giuseppe Bentivoglio, Nicola Piovani e Roberto Dané, ovvero il concept-album, l’album a tema che accoglie il dipanarsi dell’intera vicenda del protagonista del titolo, è ispirato, anch’esso, a fatti di cronaca di quel particolare momento storico in cui fu scritto: nella fattispecie, a quelli del maggio francese del ‘68, di quella “primavera”, ai giovani “cuccioli” di quel mese, alle pantere, alle contestazioni, ai movimenti studenteschi di quella stagione, i cui echi si diffusero rapidamente, e non solo in Europa. Su questi avvenimenti De André innestò la visione allegorico-visionaria de La centrale idroelettrica di Bratsk di Evtušenko ed altri spunti letterari.
Spunti, quindi, di cronaca, così come lo era stato un articolo di giornale per Marinella, e letterari sui quali impiantare l’ispirazione e l’idea di fondo, l’antiautoritarismo, al fine di dar voce, come lo era stato allegoricamente La Buona Novella tre anni prima, a quelle che erano state le istanze migliori e più sensate del popolo del ‘68 contro reiterati abusi di potere che, studenti, compagni, coetanei e, in seguito, anche il mondo operaio, vivevano quotidianamente sulla loro pelle. De André fu molto autocritico nei confronti di questo suo album, lo sottostimava.
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De André sosteneva anche che una canzone da spiegare sia una canzone non ben riuscita. Figuriamoci un intero album, si potrebbe aggiungere! In queste puntate, si cercherà di arricchire i colori e le tonalità di tale oscuro e nebbioso contenuto con alcune testimonianze che nel corso degli anni si sono levate all’orizzonte di questo particolare contesto poetico di De André. Cesare Romana, nel suo Smisurate preghiere scrive: “Pasolini parlava di “poesia profetica”, e se un unico gene accomuna i poeti ai profeti, Storia di un impiegato non è solo un bilancio, è anche una premonizione. “La rivolta non è finita ma ci sarà nuovamente, in futuro, più forte”, scrisse Dané sulla copertina dell’album, chiosando La canzone del maggio”. Come altre volte è stato facile e cattivo profeta al contempo”.
E scrive ancora Romana: “La profezia di De André fu puntuale. Emessa all’alba degli anni settanta, previde il corso di tutto il decennio: le stragi, le nobiltà, le efferatezze, la santità laica dell’opporsi e gli automatismi restauratori che ne sarebbero scattati. Il balsamo dell’utopia e l’ulcera sanguinante degli anni di piombo: raccontando il Sessantotto, De André prefigura il Settantasette”.
E vien da dire, con un fischio alla Morricone, tutti i futuri “venti di cambiamento” che seguiranno contro gli abusi di potere. Un vento che, come nel distico di una delle tre stesure di Canzone del maggio, non avranno fermato ma al quale avranno solo fatto perdere tempo.
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