Tracce

Il Messaggero

Ogni azione porta a una conseguenza e non c'è nulla che non si possa ricostruire. Che sia un efferato omicidio o una brutale aggressione, la scena di un crimine ha sempre molto da raccontare per chi sa leggere le tracce. read less
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Episodi

Trieste, una donna beve il suo caffè e poi viene uccisa
24-05-2024
Trieste, una donna beve il suo caffè e poi viene uccisa
Trieste, una donna beve il suo caffè e poi viene uccisa. Trovarsi nel posto giusto al momento sbagliato: Albina Brosolo, ha appena bevuto il suo caffè. Un'abitudine ormai consolidata e ricorrente che la donna, 77 anni, ripeteva ogni pomeriggio, prima di rincasare al termine delle commissioni di giornata. E così avvenne anche il sette novembre del 2000. Siamo a Trieste, in via Carducci, cinque minuti a piedi dal Canal Grande. La donna, quel pomeriggio, verrà trovata morta qualche ora più tardi in una delle stanze del suo appartamento. Strangolata al termine di una rapina. Ma per spiegare e risolvere quest'omicidio serviranno degli anni perché nonostante fosse da subito chiaro quanto avvenuto nell'appartamento, per risalire alla coppia che aveva adescato la vittima serviranno più di dieci anni. Il contesto in cui matura prima la rapina e poi l'omicidio come spiega Giuseppe Testai, dirigente del gabinetto interregionale per il triveneto della Scientifica con cui ripercorriamo oggi questo caso, è un contesto comune. Lei, Albina, è una donna comune che viene però presa di mira, rapinata, picchiata e infine uccisa da una coppia. Gli aggressori, un uomo e una donna, lasciarono delle impronte. La prima sul campanello della signora, la seconda su una scatola di latta da cucine. Per quest'ultima però che si rivelerà poi dirimente per risalire all'identità degli aggressori bisognerà aspettare le evoluzioni di analisi della Scientifica che nel 2012 portarono a riaprire il caso. Fino a che la Corte d’Assise d’appello ha condannato a dieci anni e otto mesi Valentina Cinquepalmi e a dieci anni Jonatha Ausili.
Torino, il killer del trapano
02-05-2024
Torino, il killer del trapano
Otto settembre 2003: c'è una porta socchiusa al secondo piano di via Cadorna 28, quartiere Santa Rita di Torino. Qualche condomino di quel palazzo, salendo le scale vede la porta leggermente aperta. Si ferma sull'uscio e pronuncia il nome della proprietaria di quell'appartamento ma non risponde nessuno. Allora decide di entrare e si trova davanti il corpo di Clotilde Zambrini, 73 anni, strangolata con una calza di nylon e seviziata con la punta numero 13 di un trapano.All'inizio sembrava l'epilogo di una rapina finita male: un'anziana che viene derubata, barbaramente ferita e poi uccisa. Ma la storia è un'altra e riporterà a un vecchio caso, avvenuto nel 1997 sempre a Torino e non risolto. Un'altra donna uccisa, sempre strangolata. E sempre seviziata. Si chiamava Maria Carolina Canavese ma non c'era nulla che apparentemente la legasse alla Zambrini se non le somiglianze dei due delitti.Con Marinella La porta, Direttore tecnico superiore del Gabinetto di Polizia Scientifica, responsabile del laboratorio di genetica forense per il Piemonte, Valle d'Aosta, Liguria e con il dottor Andrea Giuliano, responsabile del laboratorio di dattiloscopia giudiziaria al gabinetto interregionale di polizia scientifica per il Piemonte e la Valle d'Aosta di Torino ripercorreremo questi due omicidi, solo apparentemente lontani ma che furono compiuti da una sola persona la cui identità è stata svelata nel 2010: a sette anni anni dall'omicidio Zambrini e a 13 da quello della Canavese.
L'omicidio del piccolo Loris, ucciso e gettato in un canale
24-04-2024
L'omicidio del piccolo Loris, ucciso e gettato in un canale
Loris aveva solo otto anni quando fu ritrovato senza vita in un canale nella periferia di Santa Croce Camerina, in provincia di Ragusa. Del bambino si erano perse le tracce e la madre, Veronica Panarello, il 29 novembre 2014 sporse denuncia di scomparsa dicendo di aver accompagnato, quella mattina, il figlioletto a scuola. Ma a scuola, confermarono le maestre, Loris non era mai entrato. Le ricerche vennero immediatamente avviate e proseguirono fino alle 16 del giorno stesso, quando un cacciatore ritrovò il cadavere del bambino gettato in un canalone. Loris fu strangolato e poi gettato, verosimilmente da un ponticello, in quel canale. All'inizio si pensò che il bambino fosse stato abusato poiché il suo corpicino fu trovato con i pantaloni leggermente scoscesi ma la verità era un'altra. Con Antonio Grande, dirigente superiore medico della polizia di stato e con Giovanni Tessitore a capo della sezione indagini elettroniche della IV divisione della polizia scientifica, ripercorriamo oggi questo caso. Ad uccidere il bambino, ricostruiranno le indagini, fu la madre, Veronica Panarello, condannata in via definitiva a 30 anni di reclusione. Ma perché lo aveva ucciso e soprattutto come fu possibile per la polizia contestare alla donna il delitto? La Scientifica per mesi lavorò a questo caso, acquisendo tutte le immagini provenienti dai sistemi di videosorveglianza pubblici e privati presenti non solo intorno alla scena del crimine ma anche nelle vicinanze della casa di Loris e lungo poi tutto il percorso che la madre del bambino compì per abbandonare il corpo. Decine di ore di video a partire dai quali, attraverso l’applicazione di una nuova tecnica investigativa, denominata “annotazione multimediale”, è stato possibile ricostruire, su una mappa geolocalizzata, una simulazione degli spostamenti effettuati dall’autovettura della Panarello il giorno della scomparsa, dimostrando che la stessa non era passata per la strada che portava alla scuola.
Perugia, quell'unico colpo che uccise Alessandro Polizzi nel cuore della notte
19-04-2024
Perugia, quell'unico colpo che uccise Alessandro Polizzi nel cuore della notte
Alessandro Polizzi aveva 24 anni quando nella notte fra il 25 e il 26 marzo 2013 fu ucciso da un colpo di pistola mentre dormiva a casa della sua fidanzata, Julia Tosti, di quattro anni più giovane. Un uomo si introdusse nel cuore della notte nell'appartamento di via Ettore Ricci, a Perugia. Aveva il volto travisato e guanti di lattice alle mani. Sfondò la porta e si diresse subito nella camera da letto dove i due giovani dormivano. I ragazzi si svegliarono di soprassalto ma quell'uomo estrasse una pistola ed esplose un colpo che raggiunse Polizzi e ferì la sua ragazza. Poi l'aggressore si dileguò ma perché aveva firmato quell'agguato? Nella fuga l'uomo abbandonava la pistola sul posto, probabilmente scivolata via in seguito alla reazione del 24enne che, prima di cadere in terra, provò a difendersi. Sul posto quella notte si precipitò la polizia. La Scientifica rinvenne l'arma e diverse tracce ematiche non solo delle vittime. Dall'analisi di quei "dettagli" fu estrapolato un profilo genetico riconducibile a Riccardo Menenti e anche sul calcio della pistola furono trovate tracce biologiche riconducibili alla vittima e all'aggressore. Ma chi era Riccardo Menenti e perché aveva firmato quell'agguato che lo ha portato ad essere condannato all'ergastolo, in tutti e tre i gradi di giudizio? A rispondere a questa domanda e a ricostruire il macchinoso lavoro di analisi, verifica e confronti è la dottoressa Alessandra La Rosa, primo dirigente della Scientifica.
Delitto Molinari, il mistero della donna uccisa e privata delle mani
11-04-2024
Delitto Molinari, il mistero della donna uccisa e privata delle mani
Carla Molinari aveva 82 anni quando fu trovata uccisa, nella sua camera da letto, a Cocquio Trevisago, un piccolo Comune in provincia di Varese. Fin da subito la polizia dovette lavorare duramente per spiegare non solo il delitto ma un preciso mistero: la donna era stata mutilata delle mani, che non furono mai più ritrovate. Si pensava fosse rimasta vittima di una rapina finita male ma quest’ipotesi fu esclusa quasi subito. Nella villetta che la donna viveva da sola, non essendosi mai sposata, non mancava nulla. Era il 5 novembre 2009: quel pomeriggio la signora Molinari, come ogni settimana, sarebbe dovuta andare a giocare a carte con delle amiche che, non vedendola arrivare, si insospettirono. Prima ancora del suono delle sirene di polizia e ambulanza, a rompere la tranquillità di un piccolo Comune di provincia furono le urla di chi, cercando la donna si imbatte nel suo cadavere. Nel corso del sopralluogo la polizia repertò alcuni mozziconi di sigaretta, tutti di marche diverse. Condizione questa che risultò fin da subito strana, poiché nell’abitazione non era stato trovato alcun posacenere. E questo perché, come emerse poi da alcune testimonianze, la vittima non fumava e non consentiva a nessuno di fumare all’interno della propria abitazione. Di chi erano allora quei mozziconi? E perché furono trovati in diverse stanze? Ma soprattutto perché alla donna furono tagliate le mani? Dopo mesi di indagini serrate fu arrestato un uomo, poi condannato in via definitiva all’ergastolo. Si chiamava Giuseppe Piccolomo. Con il dottor Roberto Giuffrida, della polizia Scientifica di Milano, ripercorriamo questo mistero d’Italia, poi risolto grazie anche all’analisi di tracce e dettagli trovati sulla scena del crimine.