La FAVOLA del CAMERUN ||| Italia ‘90

Cronache Stories

20-12-2022 • 29 minuti


Questa storia inizia dall'Isola della Réunion, in pieno Oceano Indiano: quel che tecnicamente i francesi chiamano DOM (départment d'outre-mer), dipartimento d'oltremare, perché pur trovandosi a 420 chilometri a Est del Madagascar è territorio francese e risponde alle leggi e agli statuti della Repubblica Francese. Qui è ambientato uno dei film meno riusciti di François Truffaut, “La mia droga si chiama Julie”, con Jean-Paul Belmondo e Catherine Deneuve. Qui sta letteralmente svernando quello che è probabilmente il più grande calciatore africano degli anni 80: Roger Milla, 38 anni, l'unico giocatore della Jeunesse Sportive Saint-Pierroise, squadra di terza categoria francese, a percepire un regolare stipendio. Ha un grande avvenire dietro le spalle che risale per esempio al 1981, quando aveva vinto la Coppa di Francia con il Bastia, segnando un gol in finale contro il Saint Etienne di Platini. Nel 1989 Milla ha preso un solo voto al Pallone d'Oro. Sì, ma il Pallone d'Oro africano! Per la cronaca, ha vinto un giovane attaccante liberiano del Monaco, un certo George Weah. E Milla è arrivato cinquantesimo, a pari merito con tutta una serie di sconosciuti di cui oggi non si trova traccia nemmeno su Wikipedia: Amegassé, Makinka, Mutumbile, Rasoanaivo, Wachironga... Quest'anno ha preso un voto: l'unico a votarlo è stato il corrispondente dell'Herald di Harare, principale quotidiano dello Zimbabwe, ma si è trattato più che altro di un atto di fede. Il Pallone d'Oro Africano lui l'aveva già vinto, sì, ma nel 1976, tredici anni prima, quando giocava con il Tonnerré Yaoundé. Ha pure chiuso con la Nazionale, per una questione personale: mentre stava giocando un'amichevole contro l'Arabia Saudita, sua madre è morta. Il Ministro dello Sport gli aveva promesso che l'avrebbero ricoverata, ma non l'aveva fatto. E allora, per onorare la sua memoria, è diventato la versione black di Achille nel primo libro dell'Iliade: si è ritirato sdegnato nel suo accampamento, alla Réunion, e ai Mondiali andateci voi. Senza di lui, il Camerun ha fatto una figura magrissima alla Coppa d'Africa 1990: eliminata ai gironi da campione uscente da Zambia e Senegal, un disastro. A Italia 90 il Camerun è finito in un girone durissimo: i campioni del mondo dell'Argentina, i vice-campioni d'Europa dell'Unione Sovietica, e la Romania che è imperniata sul blocco della Steaua Bucarest finalista di Coppa Campioni nell'89. Così, a due mesi dalla partenza per l'Italia, tocca intervenire al presidente della Repubblica in persona: Paul Biya. In realtà la gran parte dell'opinione pubblica e della stampa sportiva non sono entusiasti dell'idea di supplicare in ginocchio Milla, però Biya è uno che sa fiutare l'aria: gode di un certo seguito nel Paese, tanto che alle elezioni del 1988 è stato rieletto con il 98,75% dei voti – anche se, secondo qualche maligno, ha pesato il fatto che fosse l'unico candidato. Flashforward: a febbraio Paul Biya compirà 90 anni ed è TUTTORA il presidente della Repubblica. Così scavalca l'opinione del ct, che farebbe a meno pure lui di richiamare Milla, e sguinzaglia il suo ministro dello Sport, Joseph Fofé – quello che due anni prima non aveva mantenuto la promessa – e lo costringe a umiliarsi al cospetto di Milla. E lui, come Cincinnato, accetta di riprendere le armi e ballare la sua Last Dance con tutti gli altri Lions Indomptables, i Leoni Indomabili. In quel momento il Camerun detiene un curioso record di cui va molto fiero: è l'unica Nazionale della Terra a non aver mai perso nemmeno una partita ai Mondiali. C'è stato solo una volta, nell'82, ed è tornato a casa dopo tre pareggi contro Perù, Polonia e Italia, con qualche sospetto di combine che è stato sempre sdegnosamente negato sia da noi che da loro.

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