Carlo MAZZONE ||| La storia di un allenatore LEGGENDARIO

Cronache Stories

31-08-2023 • 26 minuti

Il calciatore più anziano mai schierato in Serie A da Carlo Mazzone si chiamava Renato Campanini, giocava nell'Ascoli ed era nato nel 1938. Il più giovane si chiamava Luca Tedeschi, giocava nel Bologna ed era nato nel 1987. Non sono giocatori famosi, ma il punto è un altro: tra loro due ci sono 49 anni, quasi mezzo secolo di storia d'Italia, una guerra mondiale, un referendum per passare dalla Monarchia alla Repubblica, un boom economico, svariate crisi economiche ed energetiche, otto Presidenti della Repubblica, due Re, sei Papi. Mazzone ha allenato l'Italia, l'ha letteralmente vista crescere, e non parliamo solo di Totti, Baggio, Antognoni ma di centinaia di... fuoriclasse, ottimi giocatori, brillanti promesse, promesse mancate, meteore, delusioni. Per 792 partite di Serie A, più tre spareggi salvezza, più due spareggi UEFA. Ha debuttato in Serie A nel 1974 quando nella tv c'erano solo due canali, il Primo e il Secondo, ed è tornato negli spogliatoi per l'ultima volta nel 2006, quando dall'altra parte del pianeta qualcuno era già riuscito a collegare il mondo intero con un'unica grande rete. Dalle dirette di Tutto il Calcio Minuto per Minuto, ma solo i secondi tempi, all'invadenza dei social dove alla fine era sbarcato anche lui, al giro di boa degli 80 anni, con l'aiuto del nipote Alessio che gli gestiva gli account. Mazzone è romanzo popolare, romanzo familiare, autobiografia positiva di una Nazione che è sempre pronta a bersagliare con l'invidia e la cattiveria i suoi figli migliori, ma in cinquant'anni su Mazzone non ha mai avuto niente da dire. C'è soprattutto l'etica del lavoro, la passione per il lavoro, qualunque esso sia: umile o aristocratico, di fatica o di concetto. Da bambino Carletto Mazzone aiutava suo padre nell'officina di Trastevere, da uomo ha solcato i mari della Serie A per ventotto stagioni senza mai far pesare il proprio status, senza mai dire "il mio calcio", senza mai voler essere didascalico. Ogni tanto con orgoglio ha rivendicato le proprie conquiste, i propri titoli: nessuno scudetto e nemmeno nessuna coppa europea, al massimo una semifinale di Coppa UEFA con il Bologna, per quanto clamorosa, rigenerando un campione come Beppe Signori e spremendo il massimo da gente come Jonathan Binotto e Amedeo Mangone. Nessun trofeo, a parte una Coppa Italia vinta da allenatore-ombra della Fiorentina nel 1975, ma qualcosa forse di più sottile e profondo. La certezza riconosciuta, universale, di essere un uomo perbene.

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